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Violenza giovanile in Italia: un fenomeno in crescita e dalle radici profonde

La violenza giovanile in Italia è un fenomeno in costante aumento che sta suscitando la crescente preoccupazione di esperti, istituzioni e forze dell’ordine. Si tratta di un problema complesso, che coinvolge ragazzi molto giovani, spesso tra i 14 e i 15 anni, ma che interessa anche fasce d’età superiori.

Contrariamente a quanto si possa pensare, non si parla di vere e proprie “baby gang” strutturate, bensì di gruppi spontanei, nati e alimentati spesso sui social network, privi di una vera gerarchia interna. Questi giovani si riuniscono e agiscono in modo disorganizzato ma estremamente pericoloso, spesso per il puro gusto della trasgressione o per noia.

Gli episodi di violenza si manifestano attraverso reati come risse, aggressioni, rapine, accoltellamenti e, nei casi più gravi, sparatorie. Le aree coinvolte non si limitano alle periferie, ma spaziano anche ai centri urbani, locali notturni, stazioni ferroviarie, metropolitane e mezzi pubblici. Le vittime? Altri ragazzi, ma anche adulti e anziani che si trovano casualmente nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Due sono le principali tipologie di giovani coinvolti: da una parte, coloro a cui è stato dato troppo – spesso economicamente – e, dall’altra, quelli a cui è stato dato troppo poco, sia in termini materiali che affettivi. Entrambi accomunati da un profondo analfabetismo emotivo e da una mancanza di regole, riferimenti e spazi sani in cui esprimersi e crescere.

La soluzione? L’educazione. È questa la chiave fondamentale per arginare il fenomeno. Serve un impegno concreto sul piano scolastico, familiare e sociale. A questo si devono affiancare misure di prevenzione e contrasto, che vanno dal rafforzamento del sistema giudiziario minorile all’uso di strumenti tecnologici, come le telecamere di sorveglianza, e un maggiore presidio del territorio da parte delle forze dell’ordine.

Va inoltre sottolineato che la violenza giovanile non è un problema etnico: l’analfabetismo emotivo è trasversale e riguarda italiani e stranieri. Attribuire il problema a questioni di origine è una scorciatoia che rischia di distogliere l’attenzione dalle vere cause.

Infine, il ruolo delle famiglie è cruciale. Troppo spesso sono assenti o, se presenti, adottano un approccio individualista, cercando di gestire da sole situazioni difficili che invece richiederebbero il supporto di una rete fatta di scuole, servizi sociali, associazioni e istituzioni. Senza questo lavoro di squadra, il rischio è che i giovani restino soli, esposti a dinamiche autodistruttive che finiscono spesso sulle pagine di cronaca.

Riconoscere la complessità del problema e affrontarlo in modo corale è il primo passo per restituire ai nostri ragazzi un futuro più sicuro e consapevole.