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Per i referendum dell’8 ed il 9 giugno in invito al voto dalle considerazioni di Marinella Andaloro

Un gesto silenzioso scava nella roccia della Storia: votare.

Votare non è una facoltà accessoria, ma un dovere solenne.
Un atto di civiltà che definisce l’essenza stessa della democrazia.

In un tempo di apatia generalizzata il voto è dichiarazione di esistenza.
È presenza.
È presidio.
È resistenza.

Recarsi alle urne è atto di civiltà, esercizio di sovranità, forma suprema di responsabilità.
È l’istante sacro in cui il cittadino diventa Stato.

Anche quando l’impatto pratico sembra minimo, come nel caso dei cinque referendum sul Jobs Act dell’8 e 9 giugno, il valore simbolico rimane incommensurabile.

Non è necessarie concordare su tutto.
È necessario esserci.

È la prova suprema che il popolo rimane sovrano.

L’astensione non è neutralità:
È silenziosa complicità.
È alleanza con l’inerzia.
È resa incondizionata.
È abdicazione alla cittadinanza.

Gramsci scolpì nella coscienza collettiva: “L’indifferenza è il peso morto della storia”.

Non partecipare significa permettere che altri decidano per noi.

La nostra Costituzione nasce dalle macerie della guerra e dalla fatica di generazioni che hanno costruito, con il sacrificio, il nostro diritto di partecipare.

Ogni scheda onora le donne che conquistarono il suffragio, i partigiani che spezzarono la dittatura, i giovani martiri che morirono gridando “Libertà”.

Ogni scheda elettorale è un’eco delle loro voci, ogni croce un tributo alla loro memoria.

Votare non è un favore allo Stato.

È lo Stato che, solo attraverso la nostra voce, trova legittimità.

Non possiamo esigere giustizia se per primi rinunciamo all’unico potere che nessuno – ancora – ci ha tolto.

Non esistono alibi. Non c’è mare, non c’è distrazione, non c’è scusa che regga. Il voto è la dichiarazione più alta che non siamo spettatori, ma artefici del domani.

Perciò, come ci invita a fare il Presidente Mattarella: “Non rassegniamoci all’astensionismo”. Non arrendiamoci a una democrazia anestetizzata.

Votare è la frontiera che separa il cittadino dal suddito.

Gaber lo incise in una frase divenuta ormai epigrafe civile: “Libertà è partecipazione.” Non slogan, ma essenza della democrazia.

Perché votare è il grido più potente della dignità.
Anche quando non cambia tutto, cambia noi.

Anche quando sembra inutile. Soprattutto quando sembra inutile.

“Perché quando si dorme in democrazia, ci si sveglia in dittatura.”

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