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“Innovare dalle Radici: la rinascita dei borghi come paradigma del futuro” di Marinella Andaloro

“Innovare dalle Radici: la rinascita dei borghi come paradigma del futuro” di Marinella Andaloro

Nota del Direttore:

Si ringrazia Marinella Andaloro per il contributo che ha voluto mettere a disposizione del nostro giornale online riguardo l’incontro-dibattito che si svolto il 6 maggio scorso sul tema “Spopolamento dei piccoli comuni… tra denatalità e mancanza di servizi”.

Marinella è una leader con una carriera internazionale che la vede operare tra Europa e area MENA, in particolare Dubai, dove si dedica ad attività di alto profilo manageriale orientate all’innovazione e allo sviluppo. Il suo approccio multidisciplinare le consente di guidare iniziative sostenibili capaci di affrontare le sfide globali del nostro tempo.

Con oltre vent’anni di esperienza nella creazione di ecosistemi innovativi su scala globale, Marinella Andaloro è una visionaria che opera all’intersezione tra tecnologia avanzata e sostenibilità.

In qualità di Presidente della BTE, ha orchestrato progetti pioneristici integrando tecnologie di avanguardia e asset management.

La sua leadership, unita ad una intensa attività di mentorship e advisoring, le permette di accompagnare progetti di alto impatto, generando sinergie tra capitali innovativi, tecnologie emergenti e sviluppo territoriale, contribuendo al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite

ARTICOLO DI MARIENELLA ANDALORO

*Riflessioni sul tema dello spopolamento dei piccoli comuni, su gentile invito del Direttore di “confronto.eu”, dott. Angelo De Luca, in occasione del convegno sullo stesso tema, organizzato in sinergia con la Provincia di Foggia e la Regione Puglia*

Nel Paese dove la bellezza è di casa, 3.834 gioielli del nostro patrimonio culturale stanno scomparendo. In silenzio. Adesso. Non tra dieci anni. Oggi.

E con questi borghi si dissolve la nostra identità più autentica, quel patrimonio unico che rappresenta un vantaggio competitivo ammirato in tutto il mondo.

Resta un silenzio assordante: quello delle scuole chiuse, dei treni che non si fermano più, dei ragazzi che se ne vanno senza voltarsi indietro.

Quando un piccolo borgo muore, non scompare solo un punto sulla mappa. Si spegne un dialetto che ha attraversato secoli. Si spegne una bottega dove l’arte si tramandava di generazione in generazione. Si perde un frammento insostituibile della nostra anima collettiva. È l’estinzione di secoli di storia, tradizioni, cultura e saperi che, una volta perduti, non torneranno più.

Siamo la patria del “Made in Italy”, delle eccellenze artigiane, del genio creativo. Eppure lasciamo svanire i luoghi dove questa bellezza è nata.

I giovani partono non solo per mancanza di lavoro. Ma perché non intravedono prospettive. Zero servizi. Zero opportunità. Zero visione.

Non è più solo spopolamento. È desertificazione culturale.

Quando un territorio scompare dalle mappe mentali di chi decide, svanisce anche dalle mappe delle opportunità. Dai radar degli investitori. Si dissolve dalle aspirazioni dei giovani. Diventa una terra di nessuno. Dove nessuno investe, nessuno sogna, nessuno torna.

Ma non sono qui per parlarvi di come salvare i borghi. Sono qui per dirvi che sono loro che potrebbero salvare noi. Immaginate di avere sotto gli occhi una soluzione concreta a problemi complessi. E di ignorarla, ogni singolo giorno.

Pensate a borghi trasformati in laboratori di innovazione sostenibile, dove tecnologia e tradizione convivono. Luoghi dove la qualità della vita attira talenti. Territori un tempo marginali, oggi avamposti strategici.

Non è utopia. È strategia. Ed è già realtà altrove. Ho vissuto in prima persona le rinascite di luoghi considerati marginali, diventati modelli globali di rigenerazione.

A Baku, il progetto White City ha trasformato un’area in declino in un polo innovativo e creativo, grazie a visione e sinergie tra capitale locale e investitori globali.

A Dubai, Al Quoz è passata da distretto industriale dimenticato a cuore pulsante della industria culturale.

A Pechino, il Distretto 798 è rinato dalle ceneri di fabbriche militari abbandonate, diventando uno dei centri d’arte contemporanea più dinamici dell’Asia.

A Hong Kong, Tai Kwun è l’esempio perfetto di come il patrimonio storico possa diventare leva economica e culturale.

E potrei continuare: Masdar City ad Abu Dhabi, Zorlu Center a Istanbul, Taipa Village a Macao.

Tutti esempi di un principio semplice ma rivoluzionario. I margini possono diventare il nuovo centro.

Nel mondo accade già. Territori periferici si trasformano in hub d’innovazione grazie a una formula concreta: connettere visioni, persone e risorse.

Eppure nessuno… nessuno di questi luoghi possedeva ciò che abbiamo in Italia: una densità culturale millenaria, un sapere artigiano radicato, paesaggi che sono opere d’arte viventi, comunità con identità forti.

Perché allora da noi non accade? Perché manca una visione condivisa. Una narrazione nuova, che veda i piccoli comuni non come periferie da “salvare”, ma come hub strategici dove sperimentare il futuro.

Serve una governance capace di orchestrare energie diverse: istituzioni, imprese, comunità. Serve una strategia che parta dalle radici. 

La sfida è creare un dialogo nuovo tra tradizione e futuro, tra locale e globale. 

È questa la frontiera che dobbiamo esplorare: come i nostri borghi possano diventare protagonisti di un nuovo Rinascimento italiano, attraendo talenti, investimenti e visioni da tutto il mondo.

Ho visto il futuro, e funziona. Ho co-creato ecosistemi innovativi pubblico-privati in città come Dubai, Baku, Hong Kong, Istanbul, collaborando con startup, investitori, acceleratori, governi.

Da mentor, manager, advisor, ho facilitato progetti che hanno trasformato non solo contesti urbani, ma generazioni intere di innovatori.

Non solo per attrarre capitali. Ma per generare impatto reale. Sui territori. Sulle comunità. Sulle persone.

E ovunque ho visto lo stesso principio all’opera: l’innovazione fiorisce dove c’è spazio per sperimentare. Dove le risorse si connettono a una visione.

Ho visto ecosistemi nascere dove prima c’era il vuoto. Giovani tornare con idee globali e radici profonde. Startup rigenerare territori dimenticati.

E soprattutto, ho visto cosa accade quando la visione incontra l’azione.

Ecco il punto di svolta che voglio proporvi: guardare ai “piccoli comuni” come laboratori in cui reinventare il futuro. Perché il rilancio dei territori parte da una visione condivisa, da una governance capace, dal coraggio di immaginare un’Italia che riparta dalle sue radici.

La vera domanda non è se possiamo permetterci di investire in questi territori. È se possiamo davvero permetterci di non farlo.