Il Manifesto di Ventotene nacque, scritto a 4 mani da Spinelli e Rossi con contributi intellettuali rilevanti del socialista ebreo Colorni, di sua moglie U. Hirschmann (poi divenuta compagna di Spinelli) e di altri antifascisti non comunisti come G. Braccialarghe, A. Buleghin, D. Roberto, L. Fundo e S. Skendi.
Il progetto aveva lo scopo di unire l’Europa su basi federali come metro di giudizio delle forze politiche tradizionali sulla base della necessità di offrire al continente europeo il progetto di un nuovo sistema fondato sull’interdipendenza degli Stati e non più sull’equilibrio fra Stati sovrani.
Il Manifesto fu diviso in 3 parti: una dedicata alla crisi della società moderna, l’altra all’unità europea dopo la guerra, entrambe scritte da Spinelli, e la terza, scritta da Rossi, alla riforma della società.
IL MANIFESTO DI VENTOTENE
I. – La crisi della civiltà moderna La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero.
- Si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in Stati indipendenti. Ogni popolo, individuato dalle sue caratteristiche etniche, geografiche, linguistiche e storiche, doveva trovare nell’organismo statale creato per proprio conto, secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore i suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo. L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere entro il territorio di ciascun nuovo stato alle popolazioni più arretrate le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portava però con sé i germi dell’imperialismo capitalista, che la nostra generazione ha visto ingigantire, sino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.
La nazione non è ora più considerata come lo storico prodotto della convivenza di uomini che, pervenuti grazie ad un lungo processo ad una maggiore unità di costumi e di aspirazioni, trovano nel loro Stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana; è invece divenuta un’identità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possano risentirne. La sovranità assoluta degli Stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi, poiché ciascuno si sente minacciato dalla potenza degli altri e considera suo “spazio vitale” territori sempre più vasti, che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza, senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nella egemonia dello Stato più forte su tutti gli altri asserviti. In conseguenza di ciò, lo Stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi tenuti a servizio, con tutte le facoltà per renderne massima l’efficienza bellica. Anche nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai in molti Paesi su quella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi: la scuola, la scienza, la produzione, l’organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e all’odio verso gli stranieri, le libertà individuali si riducono a nulla, dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestare servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la famiglia, l’impiego, gli averi, ed a sacrificare la vita stessa per obbiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore; in poche giornate vengono distrutti i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo.
Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo più coerente l’unificazione di tutte le forze, attuando il massimo di accentramento e di autarchia, e si sono perciò dimostrati gli organismi più adatti all’odierno ambiente internazionale. Basta che una nazione faccia un passo in avanti verso un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita da altre trascinate nello stesso solco dalla volontà di sopravvivere.